Paolo Lagazzi per L’Accademia Mondiale della Poesia

A Verona, il 18 marzo, dalle ore 17, nella Sala Maffeiana del Teatro Filarmonico, si terrà la sedicesima edizione della Giornata mondiale della poesia a cura dell’Accademia Mondiale della Poesia. 

Nata nel 2001, l’Accademia Mondiale della Poesia si pone come fulcro della poesia italiana e del mondo. La sua fondazione fu una conseguenza della costituzione nel 1999 da parte dell’UNESCO della Giornata mondiale della poesia. Era necessario infatti che ogni Paese membro celebrasse il 21 marzo di ogni anno la Giornata mondiale della poesia e che ci fosse un’organizzazione capace di riunire poeti da tutto il mondo costruendo un forte legame tra le espressioni poetiche internazionali. Si svolse quindi a Verona, città già patrimonio dell’UNESCO, la cerimonia di fondazione dell’Accademia alla quale parteciperanno una cinquantina di poeti e tra i soci fondatori ci fu anche Mario Luzi e il premio Nobel Wole Soyinka.

L’evento sarà aperto dal Presidente dell’Accademia Patrizia Martello a cui succederà Mohamed Nadir Aziza, cancelliere onorario. Successivamente la parte cardine dell’evento: il dibattito sul tema della manifestazione Poesia come DNA del mondo: identità e tradizioni nel mondo contemporaneo con Paolo Lagazzi, Raquel Lanseros e altri.

Abbiamo intervistato Paolo Lagazzi, noto critico letterario e scrittore, nonché collaboratore dell’Accademia Mondiale della Poesia.

Anzitutto grazie per la sua disponibilità. “La Poesia come DNA del mondo”, come mai questo titolo?

Il titolo è un’idea di Davide Rondoni.

Quando usiamo l’espressione la poesia come DNA del mondo dobbiamo tornare indietro ed esaminare per primo la parola mondo, che è molto diversa dalla parola realtà, perché è un termine che ha delle risonanze simboliche, sapenziali, ermetiche molto antiche. Pensi al De armonia mundi, un testo classico dell’esoterismo rinascimentale che univa cristianesimo e neoplatonismo.
Il mondo è uno spazio immaginativo di grande respiro,  ci rilancia verso un’idea di cosmicità e ci invita a riappropriarci di una visione grande che va ai limiti della realtà pragmatica. Ci sono diversi autori che hanno utilizzato la parola mondo, e in ben cinque miei libri l’ho ripresa La parola mondo ci invita anche a sentirci tutti collegati, il mondo è una realtà di collegamento, di legame fra tutti gli aspetti dell’universo visibile e non. Il DNA è, invece, la struttura del mondo. Dire che il mondo ha un DNA significa dire che il mondo è una realtà vivente e che è fatta da tante cellule ognuna delle quali ha lo stesso DNA; ciò vuol dire che siamo tutti fratelli, fra di noi, ma anche con i vari elementi della natura. Ed è più bello pensare che questo DNA che dà una struttura, una solidità al mondo sia la poesia. È una specie di lieto annuncio, di vangelo laico ma anche sacro. Perché la poesia è un linguaggio cosmico per eccellenza, che va al di là di ogni ideologia e ci fa ritrovare la fraternità invitandoci a liberarci dal nostro io; possiamo sentirci in sintonia con l’universo solo se ci liberiamo dai nostri ego. E tutti i veri poeti fanno questo, ci rigettano verso una visione cosmica. Da qui il titolo molto bello ” La Poesia come DNA del mondo”. Poi durante l’evento ci sarà un dibattito in cui ogni poeta dirà la propria e gli darà un significato diverso e particolare, questo comunque è il mio.

La manifestazione è giunta alla sedicesima edizione. Cosa è cambiato e cosa è rimasto immutato?

Sono circa dieci anni che collaboro con l’Accademia Mondiale della Poesia, ma posso dire che in questo arco di tempo la manifestazione si è molto arricchita. Prima era un po’ frammentaria, anche se con delle cose molto belle che però potevano essere recepite dal pubblico in maniera apunto frammentaria, adesso, invece, stiamo facendo un bel lavoro di squadra, stiamo facendo prendere all’Accademia respiro. 
Quest’anno ad esempio l’evento sarà diviso in due parti: la prima, al mattino, sarà dedicata alle scuole. La seconda parte, nel pomeriggio, riprende parzialmente lo spirito del mattino rilanciando. 

Novità di quest’anno il concorso di poesia Tanka, quel tipo di componimenti brevi nati in Giappone. Ce ne parli. 

Sì, come dicevo al mattino ci sarà un concorso per le scuole che nasce dal mio libro “Cinquanta foglie”, che è un dialogo tra poesia italiane e giapponesi. Ho preso venticinque Tanka, un tipo di componimento breve antichissimo del giappone, di soli 5 versi con schema sillabico 5-7-5-7-7, che veniva usato per scambiarsi dei messaggi tra amici, amanti, in diverse occasioni ad esempio prima di una battaglia, dopo aver bevuto il tè o dopo una notte d’amore e venivano scritti su ventagli o su carta pregiata. Allora mi è venuta un’idea: in quest’epoca di grande intolleranza ideologica fra oriente e occidente volevo provare a sottoporre a venticinque poeti italiani venticinque Tanka giapponesi contemporanei, chiedendo a ciascuno di rispondere con un suo Tanka. Mi è venuta poi l’idea di lanciare la stessa cosa nelle scuole. Verona è la seconda città dopo Pescara in cui, coinvolgendo provvedirtori e sindaci, sono riuscito a innestare una sperimentazione nelle scuole. I bambini o i ragazzi scrivono dei Tanka spesso inconsapevolmente mandandosi dei messaggi di formalità, il che ha due vantaggi: prima di tutto i messaggi brevi ai ragazzi ricordano i messaggini che si scambiano col cellulare, però gli educano allo stesso tempo alla libertà nella forma, a quella libertà che è il rispetto di una tradizione. Quindi durante la mattinata si leggeranno i Tanka migliori scritti appunto dai ragazzi, il pomeriggio ci saranno cinque poeti italiani che dialogheranno in forma di Tanka con cinque poeti arabi. Ed è molto bello, perché l’occidente oggi rischia purtroppo dei malintesi con l’ambiente islamico. Sarà un’occasione di alto valore simbolico e se venisse ripreso successivamente, potrebbe insegnare a tutti che la poesia non ha riguardi ideologici ma ci fa sentire fratelli, un po’ come diceva Ungaretti. 

Ci saranno anche molti poeti provenienti da ogni parte del mondo, questo fa pensare che la città di Verona sia aperta alle influenze culturali degli altri paesi. Cosa nasce da questo incontro?

Se non viviamo in un’ottica di mondialità adesso, quando? Ci sarà la poetessa giapponese Ikuku Sagiyama, che insegna all’università di Firenze. Ci sarà anche Wallis Wilde Menozzi, statunitense e scrittrice di prosa e di versi. Poi ci saranno alcuni poeti provenienti dal mondo arabo. È un crogiolo di culture diverse e la poesia è lo strumento che si presta a creare questi ponti. La parola ponte è molto bella, perché è una parola dalle ampie risonanze simboliche come la parola mondo. Il festival sarà un’occasione e si spera che nei prossimi anni di incrementare sempre di più questo spirito.

L’Accademia mondiale della poesia è nata in una città, appunto Verona, che ha dato i natali a Catullo, ha ispirato Shakespeare e tanti altri, il vostro scopo è quindi quello di portare avanti questa tradizione poetica? Con quali aggiunte?

Sì, citare Catullo e Shakespeare significa citare la tradizione occidentale. Però l’Accademia Mondiale della Poesia si vuole aprire anche ad altre tradizioni. Direi che sono presenti entrambi gli obiettivi: rilanciare il senso della nostra identità occidentale, della nostra grande tradizione letteraria e poetica e nello stesso tempo aprirci anche agli altri mondi culturali. C’è anche un effetto specchio in questo presupposto, nell’altro si ritrova più profondamente se stessi. Più ci apriamo al mondo, più riscopriamo anche il nostro occidente. Non dobbiamo avere paura quindi di aprirci all’altro, è invece il confronto con l’altro che ci permette di riscoprire più intensamente la nostra tradizione. 

Si può ancora vivere di poesia? Qual è la vostra personale visione sulla salute della poesia in Italia?

Dipende quello che si intende per vivere di poesia. Se si vuole vivere vendendo i propri libri di poesia purtroppo la risposta è no, ma non è una novità. Anche i grandi poeti del Novecento, Montale ad esempio, non viveva di questo. Perché il pubblico che legge poesia è sempre stato minore rispetto a quello che legge la prosa. Ma se mi chiede se si può vivere di poesia intesa come quel qualcosa che può nutrire la nostra vita, l’anima, la mente allora direi assolutamente di sì. 
Ho fatto parte della giuria di alcuni dei maggiori concorsi e ho visto che molti giovani hanno bisogno di scrivere poesia, ma non solo loro. La poesia è una cosa che riguarda tutti, è democratica, non ci sono fasce privilegiate. In definitiva direi che c’è questo bisogno di nutrire la vita di poesia. 

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, tre anni fa ho pubblicato un libro dal titolo “La stanchezza del mondo”. Molte volte ci rendiamo conto che viviamo nell’età della stanchezza. Ho l’impressione che la stanchezza che si è accumulata storicamente nel mondo e le delusioni che ci hanno provocato le promesse non mantenute della politica, dell’economia, della scienza, alla fine hanno creato un disgusto tale che investe anche la poesia. La poesia, prima di essere un’arma di resistenza contro gli aspetti negativi realtà, è prima di tutto testimonianza e, visto che viviamo in un’epoca di stanchezza, di conseguenza anche la poesia diventa stanca, perché appunto deve testimoniare questo. Io vedo, leggendo testi anche di giovani, che la poesia diventa una palude, implode su se stessa e le parole della stanchezza generano una stanchezza delle parole. Un meccanismo tremendo. 
Ha sempre ragione Hölderlin, il filosofo tedesco che disse: “Ciò che resta lo fondano i poeti”. Di fronte a tutta questa negatività le parole dei poeti riescono tuttavia ad offrire un’alternativa. Non perché siano dei vati, dei profeti, ma perché in loro c’è il desiderio di scoprire il mistero dell’altro, dell’altrove, anche nei nostri qui ed ora della nostra esperienza quotidiana. Il poeta sa vedere in delle occasioni semplici qualcosa che può generare un sentimento di apertura verso un mondo diverso. È questo è cio che la poesia sa testimoniare anche in mezzo a questa stanchezza, a questo sfacelo che ho elencato. È difficile fornire un quadro unitario della poesia italiana contemporanea, direi che ci sono alcuni ottimi poeti, altri che sperimentano. È un misto di tutto questo. Ma credo che la situazione negli altri Paesi sia pressoché uguale.

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