Dono all’Archivio di Stato la mia memoria

Lagazzi, Parma le dedica un’intera giornata…

Sì, sono molto grato, e anche un po’ imbarazzato, per questa specie di festa che due tra le più importanti istituzioni culturali parmigiane, l’Archivio di Stato e l’Assessorato alla Cultura, hanno organizzato per me, per i miei settant’anni.

In cosa consisterà questa specie di festa?

Essenzialmente in due eventi. Al mattino avrà luogo presso l’Archivio di Stato una cerimonia per la donazione che farò all’Archivio di una parte del tanto materiale – manoscritti autografi, dattiloscritti, lettere, eccetera – riguardante alcuni degli scrittori che ho conosciuto, frequentato, letto e studiato nella mia vita; questa donazione sarà presentata dall’attuale direttore dell’Archivio, Graziano Tonelli, e dall’ex direttore Marzio Dall’Acqua (è grazie alla collaborazione di Attilio Bertolucci e mia con quest’ultimo che nel 1992 fu possibile realizzare presso l’Archivio di Stato un fondo dedicato allo stesso Bertolucci. Rispetto a quel fondo, ciò che donerò all’Archivio si porrà in una posizione naturale di dialogo.) Al pomeriggio ci sarà un incontro durante il quale due noti, finissimi critici e studiosi (l’assessore Michele Guerra e Stefano Lecchini) e due celebri poeti e scrittori (Gian Ruggero Manzoni e Davide Rondoni) parleranno della mia opera, dei miei libri di saggistica e narrativa, dei miei interessi, dei miei temi prediletti. A questi interventi seguirà una testimonianza sulla mia attività di insegnante: sarà un mio bravissimo ex allievo, Paolo Scita, a occuparsene. Non si tratterà certo di un convegno: di solito i convegni si dedicano a chi non c’è più… E’ vero che non sono più giovanissimo, ma mi sento ancora piuttosto vivo. Sarà invece un’occasione per ricordare ai parmigiani, attraverso qualche considerazione sul mio lavoro, che la loro, la nostra città non è solo una splendida meta per gli amanti della musica, dell’arte, della moda e del cibo, ma anche una “piccola capitale” della letteratura, un luogo in cui si è letto e scritto molto, in cui si sono tradotti e stampati tanti libri, in cui si sono incontrati autori provenienti da tutta l’Italia e dall’estero, in cui è esistita – e in parte continua a esistere – una società letteraria, una rete di relazioni, rapporti, incontri nutriti da uno spirito di apertura e di dialogo nonostante la proverbiale, direi mitica tendenza di alcuni parmigiani alla chiusura in piccoli gruppi, in circoli o salotti un po’ snob, cioè in forme di elitarismo o individualismo tipiche della provincia.

Come potrebbe cercare di riassumere in breve il senso del suo lungo lavoro letterario?

Credo che molti, a Parma, pensino che io mi sia occupato solo dell’opera di Attilio Bertolucci, ma non è così. È vero che l’ho studiato a fondo, che l’ho letto e riletto cercando di entrare il più possibile in sintonia col suo straordinario mondo poetico; è vero che ho scritto molto su di lui e che ho contribuito a diffondere la conoscenza della sua opera negli Stati Uniti e in Giappone (come ha ricordato in due tra i miei libri più recenti), ma mi sono occupato anche di tanti altri autori antichi e moderni, occidentali e orientali, da Apuleio a Leopardi, da D’Annunzio a Pascoli a Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, da Joseph Conrad a Silvio D’Arzo, da Bernard Malamud a Nikos Kazantzakis, da Massimo Bontempelli a Bruno Barilli, da Victor Segalen a Pietro Citati, da Fernanda Romagnoli a Maria Luisa Spaziani, da Agatha Christie a Giorgio Scerbanenco, da Basho a Kikuo Takano a Makiko Kasuga… Mi sono anche cimentato con la scrittura d’invenzione componendo delle fiabe, dei racconti, un’intervista immaginaria (all’uovo di Colombo!) e due romanzi (uno ancora inedito). Ma fondamentale resta per me l’approccio di Attilio al mistero e alla poesia della vita. Uno dei miei libri dedicati a Bertolucci s’intitola “Reverie e destino”; a tanti anni di distanza dalla sua pubblicazione mi sembra di potermi rispecchiare in quel titolo perché anche il mio destino è stato una sorta di reverie, anch’io ho attraversato la vita e la scrittura fantasticando, quasi senza rendermene conto, procedendo come a occhi semichiusi su sentieri di sabbia o di foglie. In altri termini: i miei libri crescevano e si accumulavano (ormai, tra i miei e quelli curati da me, sono più di una sessantina) ma era come se fosse qualcun altro a scriverli…

Dicendo questo non vorrei dare l’idea di una vita idilliaca, puramente segnata dalla leggerezza. Ho dovuto far fronte, come tutti, a molte difficoltà e anche errori, ma non ho mai perso la fede nella bellezza dei sogni, nella “verità” delle illusioni. A settant’anni suonati, nonostante i segnali d’allarme che ogni giorno il mio corpo mi lancia, continuo a credere che forse non morirò mai.

                                                                                                Davide Barilli

“Un brindisi tra vino e poesia” conferenza a Vinitaly, Verona 2019


A Verona nei prossimi giorni (dal 7 al 10 aprile) si terrà la 53ª edizione di Vinitaly, ormai la più importante manifestazione internazionale dedicata al mondo del vino. A latere rispetto alla fiera vera e propria, riservata soprattutto ai produttori, ai distributori e ai tecnici del settore, avranno luogo dal 5 all’8 aprile molti eventi letterari, artistici e musicali (“Vinitaly and the City”). Tra gli eventi più interessanti si segnala la conferenza sui rapporti tra il vino e la poesia (“I sogni nel bicchiere. Assaggi tra poesia e vino”) che Paolo Lagazzi, il saggista e scrittore parmigiano, terrà nella città scaligera sabato 6 aprile tra le 18 e le 19 nella Loggia Fra’ Giocondo in piazza dei Signori. Poiché da anni Lagazzi vive a Milano, lo raggiungo al cellulare per chiedergli qualche notizia su questo evento.

Lagazzi, perché parlare al pubblico di Vinitaly dei rapporti tra il vino e la poesia?

La chiacchierata che terrò su questo tema nasce da una mia semplice idea. Da tredici anni faccio parte dell’Accademia Mondiale della Poesia di Verona, un’istituzione fondata nel 2001 da poeti e scrittori celebri quali Seamus Heaney, Derek Walcott e Mario Luzi. Ogni anno l’Accademia organizza diversi eventi, in particolare la giornata mondiale della poesia, ma non aveva mai attivato nessuna forma di collaborazione con Vinitaly. Le parole che sabato dedicherò all’incontro tra il vino e la poesia sono soltanto un primo passo per creare tra l’Accademia e Vinitaly un legame che spero darà frutti importanti negli anni.

Pensa che coloro che bevono più o meno abitualmente del vino possano essere interessati ai poeti che hanno scritto dei versi su questa bevanda?

Troppo spesso, credo, il consumo del vino è banalizzato, è ridotto a un fatto puramente abitudinario, a uno dei tanti piccoli riti del consumismo quotidiano. Il vino, invece, è una bevanda intrinsecamente nobile, addirittura sacra, irriducibile alla Coca Cola o alle altre bibite imposte dalle multinazionali americane: nessuno in Occidente può ignorare i fondamenti mitici e religiosi, da Dioniso a Cristo, della cultura del vino. Perdere il “senso” profondo del vino significherebbe smarrire una delle radici-chiave dell’identità dell’Occidente. La mia chiacchierata non potrà spaziare molto perché il tempo che avrò a disposizione sarà limitato, ma credo sia essenziale, anche per i giovani, tentare di riscoprire oggi il vino nelle sue risonanze simboliche, poetiche e sapienziali.

Alla sua conferenza ne seguiranno altre nei prossimi anni?

Sì, vorremmo invitare ogni anno un noto scrittore (non un sommelier o un esperto ma un narratore, un poeta o un critico letterario) che racconti al pubblico di Vinitaly il proprio rapporto col vino e con la poesia, col vino evocato dai poeti e con le qualità “vinose” della poesia.

Le conferenze sono le uniche iniziative culturali che l’Accademia ha proposto a Vinitaly?

No. Intanto desidero ricordare che ognuno di questi incontri, a partire da quello di quest’anno, terminerà con una degustazione (gratuita) guidata da un sommelier. Inoltre l’Accademia lancerà, d’accordo con Vinitaly, un concorso poetico sul vino: chi lo desidera potrà scrivere dei versi dedicati, direttamente o indirettamente, al vino e spedirli alla segretaria dell’Accademia, la signora Laura Troisi. (Il bando del concorso uscirà presto su Internet). I testi inviati saranno valutati da una giuria formata dai poeti Claudio Damiani e Paolo Ruffilli accanto a me. La prima premiazione del concorso avrà luogo nel 2020, nell’ambito della prossima edizione di Vinitaly.

Cosa vuol dire parlando di versi dedicati “direttamente o indirettamente” al vino?

Una poesia può essere “ad alto tasso alcolico” anche se non cita esplicitamente uno o più vini: certi testi di Rimbaud o di Campana non sembrano scritti in stato di ebbrezza?

Bene, non mi resta che brindare idealmente al successo delle vostre iniziative…

                                                                                                                                Remo Curi

Premio Speciale Montale Fuori di Casa 2017

Il 12 aprile 2017, alle ore 17,30, nella sede del Gabinetto Vieusseux di Firenze, sarà assegnato al professor Paolo Lagazzi il “Premio Speciale – Montale Fuori di Casa” per la critica letteraria e la saggistica.

 

Motivazione

Intellettuale proteiforme, raffinato critico letterario, saggista, scrittore, studioso di letteratura italiana e straniera del Novecento e di poesia giapponese, Paolo Lagazzi è sì tutto questo ma molto di più. Sfugge ad ogni definizione questo attento conoscitore del buddismo zen, questo esploratore di costellazioni magiche, di miti e leggende, questo sottile cultore di musica, cinema e pittura. Se Doriano Fasoli riconosce in lui uno dei critici letterari contemporanei più originali ed eclettici, Davide Rondoni evidenzia la sua peculiarità di  critico “entusiasta”, capace di introdurre chi lo segue ad una curiosità vera verso il significato dell’esistenza .

Da ultimo Lagazzi si è confrontato anche con il romanzo pubblicando nel 2014 per la casa editrice Passigli “Light stone“, quasi una summa dei suoi più grandi amori: la poesia di Attilio Bertolucci (da un verso del quale prende titolo il libro), la cultura giapponese, la filosofia zen, la musica. Il risultato è un libro elegante, raffinato, poetico e struggente, tagliente come una pietra di luce.

 

Il Premio Montale Fuori di Casa, giunto al suo ventunesimo anno di vita, ha la sua sede storica a Sarzana, ma si svolge dal 2016 anche nelle tre città, “patrie adottive” del Premio Nobel: Genova, Firenze, Milano.

Nel capoluogo toscano lo scorso anno, a Palazzo Panciatichi, sede del Consiglio Regionale della Toscana, è stato premiato il poeta e studioso di miti ladini Nicola Dal Falco.

Quest’anno il 12 aprile al Gabinetto Vieusseux, di cui Montale fu Direttore dal 1929 al 1938, Adriana Beverini, consegnerà il “Premio Speciale – Montale Fuori di Casa” a Paolo Lagazzi: porteranno inoltre un saluto al Premiato, la Direttrice Gloria Manghetti, Eugenio Giani, Presidente del Consiglio Regionale della Toscana; dialogherà con il Professor Lagazzi, Nicola Dal Falco.

A fine incontro saranno donati al pubblico, sino ad esaurimento copie autografate dei libri: “La stanchezza del mondo. Ombre e bagliori dalle terre della poesia” (Moretti e Vitali editori) e“Light Stone” (Passigli edizioni 2014).

Il Premio si svolge in collaborazione con il Pen Club Italia e la Fondazione Il Fiore.

 

Cinquanta Foglie allo Spazio Tadini

Spazio Tadini mercoledì 8 febbraio 2017 alle ore 18.30 Paolo Lagazzi, saggista, scrittore e tra i maggiori esperti di poesia nel panorama letterario nazionale presenta in anteprima assoluta il suo ultimo libro: Cinquanta foglie (五十枚の葉) : Tanka giapponesi e italiani in dialogo – casa editrice Moretti e Vitali (ingresso libero).

L’autore, ispirandosi a quell’antico cerimoniale per cui il tanka era veicolo di messaggi amorosi, o di scambi di pensieri tra amici nel libro raccoglie venticinque tanka giapponesi recenti proposti a venticinque poeti italiani invitandoli a rispondere con un loro tanka. Un vero e proprio dialogo.

LA MOSTRA

La presentazione del libro sarà accompagnata da una mostra di opere di Satoshi Hirose e Daniela Tomerini dall’8 al 19 febbraio

Anch’essa un dialogo tra un artista giapponese e un’artista italiana. Secondo Paolo Lagazzi la libertà intima della poesia è la via più vera per ritrovare ciò che unisce gli uomini, ciò che li fa sentire, anche nei momenti più oscuri della storia, partecipi della stessa magia, dello stesso mistero del mondo.

Alla serata inaugurale, ad ingresso gratuito, parteciperanno, insieme al curatore, Yasuko Tatsumura (traduttrice), Alberto Moro (presidente dell’Associazione Culturale “Giappone in Italia”), i poeti Giancarlo Consonni, Adele Desideri, Umberto Fiori, Tomaso Kemeny e il maestro zen Fausto Taiten Guareschi.

Durante la serata brani di musica giapponese saranno interpretati all’arpa da Floraleda Sacchi.

LA CONFERENZA SULLA POESIA GIAPPONESE

Come appendice di questo evento, sabato 11 febbraio, a partire dalle ore 18, Paolo Lagazzi terrà presso lo Spazio Tadini una conferenza sulla poesia giapponese antica e moderna. (ingresso 5 euro)

Stralcio dal libro Cinquanta foglie: Tanka giapponesi e italiani in dialogo – casa editrice Moretti e Vitali :

“Ciò che più mi affascina del tanka è la plasticità, il carattere
insieme sciolto e concreto, la schietta vocazione metamorfica. Se,
da un lato, ha resistito nei secoli senza modificare il suo impianto
metrico, dall’altro si è dischiuso ai contenuti più disparati, da quelli
tipicamente “cortesi” (l’amore e la natura, le galanterie, i sospiri,
le lacrime, le lune, i fiori di ciliegio, le brezze che increspano i momenti…) fino a quelli peculiari dei tempi moderni (treni, metropoli, luci artificiali, malattie o ansie di nuovo genere…) scivolando in souplesse attraverso le innumerevoli pieghe dell’umana esperienza, nutrendosi di tutto e spostandosi senza tregua verso altre prospettive, occasioni, visioni.
Mentre lo haiku richiede un esercizio tagliente, vertiginoso dello
sguardo che solo, forse, chi si sia nutrito in modo radicale dell’insegnamento zen può liberare dal fondo del suo essere, il tanka si offre alla pratica artigiana dei poeti come uno strumento duttile,
come un oggetto agile e discreto. Rispetto alla brevità lirica, assoluta
e fiammante dello haiku, il tanka porta in sé un germe narrativo o
discorsivo, è sensibile a temi che sono, in nuce, racconti, ma, come
10 un ventaglio aperto e subito richiuso, li contiene in uno stringato e vibrante intarsio contrappuntistico, in un disegno circoscritto, allusivo. Proprio per questa sua natura disponibile al dialogo e insieme protetta dagli dèi della forma, al tanka fu, per molto tempo, affidato il compito di messaggero, di confidente, di postino dell’anima”.

Paolo Lagazzi per L’Accademia Mondiale della Poesia

A Verona, il 18 marzo, dalle ore 17, nella Sala Maffeiana del Teatro Filarmonico, si terrà la sedicesima edizione della Giornata mondiale della poesia a cura dell’Accademia Mondiale della Poesia. 

Nata nel 2001, l’Accademia Mondiale della Poesia si pone come fulcro della poesia italiana e del mondo. La sua fondazione fu una conseguenza della costituzione nel 1999 da parte dell’UNESCO della Giornata mondiale della poesia. Era necessario infatti che ogni Paese membro celebrasse il 21 marzo di ogni anno la Giornata mondiale della poesia e che ci fosse un’organizzazione capace di riunire poeti da tutto il mondo costruendo un forte legame tra le espressioni poetiche internazionali. Si svolse quindi a Verona, città già patrimonio dell’UNESCO, la cerimonia di fondazione dell’Accademia alla quale parteciperanno una cinquantina di poeti e tra i soci fondatori ci fu anche Mario Luzi e il premio Nobel Wole Soyinka.

L’evento sarà aperto dal Presidente dell’Accademia Patrizia Martello a cui succederà Mohamed Nadir Aziza, cancelliere onorario. Successivamente la parte cardine dell’evento: il dibattito sul tema della manifestazione Poesia come DNA del mondo: identità e tradizioni nel mondo contemporaneo con Paolo Lagazzi, Raquel Lanseros e altri.

Abbiamo intervistato Paolo Lagazzi, noto critico letterario e scrittore, nonché collaboratore dell’Accademia Mondiale della Poesia.

Anzitutto grazie per la sua disponibilità. “La Poesia come DNA del mondo”, come mai questo titolo?

Il titolo è un’idea di Davide Rondoni.

Quando usiamo l’espressione la poesia come DNA del mondo dobbiamo tornare indietro ed esaminare per primo la parola mondo, che è molto diversa dalla parola realtà, perché è un termine che ha delle risonanze simboliche, sapenziali, ermetiche molto antiche. Pensi al De armonia mundi, un testo classico dell’esoterismo rinascimentale che univa cristianesimo e neoplatonismo.
Il mondo è uno spazio immaginativo di grande respiro,  ci rilancia verso un’idea di cosmicità e ci invita a riappropriarci di una visione grande che va ai limiti della realtà pragmatica. Ci sono diversi autori che hanno utilizzato la parola mondo, e in ben cinque miei libri l’ho ripresa La parola mondo ci invita anche a sentirci tutti collegati, il mondo è una realtà di collegamento, di legame fra tutti gli aspetti dell’universo visibile e non. Il DNA è, invece, la struttura del mondo. Dire che il mondo ha un DNA significa dire che il mondo è una realtà vivente e che è fatta da tante cellule ognuna delle quali ha lo stesso DNA; ciò vuol dire che siamo tutti fratelli, fra di noi, ma anche con i vari elementi della natura. Ed è più bello pensare che questo DNA che dà una struttura, una solidità al mondo sia la poesia. È una specie di lieto annuncio, di vangelo laico ma anche sacro. Perché la poesia è un linguaggio cosmico per eccellenza, che va al di là di ogni ideologia e ci fa ritrovare la fraternità invitandoci a liberarci dal nostro io; possiamo sentirci in sintonia con l’universo solo se ci liberiamo dai nostri ego. E tutti i veri poeti fanno questo, ci rigettano verso una visione cosmica. Da qui il titolo molto bello ” La Poesia come DNA del mondo”. Poi durante l’evento ci sarà un dibattito in cui ogni poeta dirà la propria e gli darà un significato diverso e particolare, questo comunque è il mio.

La manifestazione è giunta alla sedicesima edizione. Cosa è cambiato e cosa è rimasto immutato?

Sono circa dieci anni che collaboro con l’Accademia Mondiale della Poesia, ma posso dire che in questo arco di tempo la manifestazione si è molto arricchita. Prima era un po’ frammentaria, anche se con delle cose molto belle che però potevano essere recepite dal pubblico in maniera apunto frammentaria, adesso, invece, stiamo facendo un bel lavoro di squadra, stiamo facendo prendere all’Accademia respiro. 
Quest’anno ad esempio l’evento sarà diviso in due parti: la prima, al mattino, sarà dedicata alle scuole. La seconda parte, nel pomeriggio, riprende parzialmente lo spirito del mattino rilanciando. 

Novità di quest’anno il concorso di poesia Tanka, quel tipo di componimenti brevi nati in Giappone. Ce ne parli. 

Sì, come dicevo al mattino ci sarà un concorso per le scuole che nasce dal mio libro “Cinquanta foglie”, che è un dialogo tra poesia italiane e giapponesi. Ho preso venticinque Tanka, un tipo di componimento breve antichissimo del giappone, di soli 5 versi con schema sillabico 5-7-5-7-7, che veniva usato per scambiarsi dei messaggi tra amici, amanti, in diverse occasioni ad esempio prima di una battaglia, dopo aver bevuto il tè o dopo una notte d’amore e venivano scritti su ventagli o su carta pregiata. Allora mi è venuta un’idea: in quest’epoca di grande intolleranza ideologica fra oriente e occidente volevo provare a sottoporre a venticinque poeti italiani venticinque Tanka giapponesi contemporanei, chiedendo a ciascuno di rispondere con un suo Tanka. Mi è venuta poi l’idea di lanciare la stessa cosa nelle scuole. Verona è la seconda città dopo Pescara in cui, coinvolgendo provvedirtori e sindaci, sono riuscito a innestare una sperimentazione nelle scuole. I bambini o i ragazzi scrivono dei Tanka spesso inconsapevolmente mandandosi dei messaggi di formalità, il che ha due vantaggi: prima di tutto i messaggi brevi ai ragazzi ricordano i messaggini che si scambiano col cellulare, però gli educano allo stesso tempo alla libertà nella forma, a quella libertà che è il rispetto di una tradizione. Quindi durante la mattinata si leggeranno i Tanka migliori scritti appunto dai ragazzi, il pomeriggio ci saranno cinque poeti italiani che dialogheranno in forma di Tanka con cinque poeti arabi. Ed è molto bello, perché l’occidente oggi rischia purtroppo dei malintesi con l’ambiente islamico. Sarà un’occasione di alto valore simbolico e se venisse ripreso successivamente, potrebbe insegnare a tutti che la poesia non ha riguardi ideologici ma ci fa sentire fratelli, un po’ come diceva Ungaretti. 

Ci saranno anche molti poeti provenienti da ogni parte del mondo, questo fa pensare che la città di Verona sia aperta alle influenze culturali degli altri paesi. Cosa nasce da questo incontro?

Se non viviamo in un’ottica di mondialità adesso, quando? Ci sarà la poetessa giapponese Ikuku Sagiyama, che insegna all’università di Firenze. Ci sarà anche Wallis Wilde Menozzi, statunitense e scrittrice di prosa e di versi. Poi ci saranno alcuni poeti provenienti dal mondo arabo. È un crogiolo di culture diverse e la poesia è lo strumento che si presta a creare questi ponti. La parola ponte è molto bella, perché è una parola dalle ampie risonanze simboliche come la parola mondo. Il festival sarà un’occasione e si spera che nei prossimi anni di incrementare sempre di più questo spirito.

L’Accademia mondiale della poesia è nata in una città, appunto Verona, che ha dato i natali a Catullo, ha ispirato Shakespeare e tanti altri, il vostro scopo è quindi quello di portare avanti questa tradizione poetica? Con quali aggiunte?

Sì, citare Catullo e Shakespeare significa citare la tradizione occidentale. Però l’Accademia Mondiale della Poesia si vuole aprire anche ad altre tradizioni. Direi che sono presenti entrambi gli obiettivi: rilanciare il senso della nostra identità occidentale, della nostra grande tradizione letteraria e poetica e nello stesso tempo aprirci anche agli altri mondi culturali. C’è anche un effetto specchio in questo presupposto, nell’altro si ritrova più profondamente se stessi. Più ci apriamo al mondo, più riscopriamo anche il nostro occidente. Non dobbiamo avere paura quindi di aprirci all’altro, è invece il confronto con l’altro che ci permette di riscoprire più intensamente la nostra tradizione. 

Si può ancora vivere di poesia? Qual è la vostra personale visione sulla salute della poesia in Italia?

Dipende quello che si intende per vivere di poesia. Se si vuole vivere vendendo i propri libri di poesia purtroppo la risposta è no, ma non è una novità. Anche i grandi poeti del Novecento, Montale ad esempio, non viveva di questo. Perché il pubblico che legge poesia è sempre stato minore rispetto a quello che legge la prosa. Ma se mi chiede se si può vivere di poesia intesa come quel qualcosa che può nutrire la nostra vita, l’anima, la mente allora direi assolutamente di sì. 
Ho fatto parte della giuria di alcuni dei maggiori concorsi e ho visto che molti giovani hanno bisogno di scrivere poesia, ma non solo loro. La poesia è una cosa che riguarda tutti, è democratica, non ci sono fasce privilegiate. In definitiva direi che c’è questo bisogno di nutrire la vita di poesia. 

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, tre anni fa ho pubblicato un libro dal titolo “La stanchezza del mondo”. Molte volte ci rendiamo conto che viviamo nell’età della stanchezza. Ho l’impressione che la stanchezza che si è accumulata storicamente nel mondo e le delusioni che ci hanno provocato le promesse non mantenute della politica, dell’economia, della scienza, alla fine hanno creato un disgusto tale che investe anche la poesia. La poesia, prima di essere un’arma di resistenza contro gli aspetti negativi realtà, è prima di tutto testimonianza e, visto che viviamo in un’epoca di stanchezza, di conseguenza anche la poesia diventa stanca, perché appunto deve testimoniare questo. Io vedo, leggendo testi anche di giovani, che la poesia diventa una palude, implode su se stessa e le parole della stanchezza generano una stanchezza delle parole. Un meccanismo tremendo. 
Ha sempre ragione Hölderlin, il filosofo tedesco che disse: “Ciò che resta lo fondano i poeti”. Di fronte a tutta questa negatività le parole dei poeti riescono tuttavia ad offrire un’alternativa. Non perché siano dei vati, dei profeti, ma perché in loro c’è il desiderio di scoprire il mistero dell’altro, dell’altrove, anche nei nostri qui ed ora della nostra esperienza quotidiana. Il poeta sa vedere in delle occasioni semplici qualcosa che può generare un sentimento di apertura verso un mondo diverso. È questo è cio che la poesia sa testimoniare anche in mezzo a questa stanchezza, a questo sfacelo che ho elencato. È difficile fornire un quadro unitario della poesia italiana contemporanea, direi che ci sono alcuni ottimi poeti, altri che sperimentano. È un misto di tutto questo. Ma credo che la situazione negli altri Paesi sia pressoché uguale.

Cerimonia di consegna del Premio Catullo a Verona

Il 12 novembre 2016 si è svolta presso la Sala Arazzi del Comune di Verona la cerimonia di consegna del Premio Catullo, alla presenza del sindaco di Verona, Flavio Tosi, presidente d’onore della manifestazione.

Il Premio ha come obiettivo di individuare ogni anno un traduttore, un editore e un organizzatore di manifestazioni poetiche che, con la loro attività, abbiano contribuito a promuovere la poesia internazionale in Italia accanto ad un traduttore, un editore o un organizzatore di Festival le cui iniziative abbiano contribuito a promuovere la poesia italiana nel mondo.

Una terza categoria porta il titolo di ‘Sezione giovani’. In questa sezione premiati gli alunni delle scuole secondarie che si sono distinti nell’ambito di un corso di studi classici, nell’apprendimento della lingua e della cultura latina.

La giuria del Premio è presieduta da Nadir M. Aziza e formata da Davide Rondoni, Paolo Lagazzi, e Antonio Riccardi.

Tra i vincitori selezionati l’editore ‘La Vita Felice’, il traduttore Alessandro Fo, Gian Mario Villalta (Pordenonelegge’ e ‘Festa del Libro con gli autori’), il tedesco Hanser Verlag per la diffusione della poesia italiana, mentre nella ‘Sezione giovani’ il prestigioso riconoscimento è andato a Gianluigi Bernardi, Giulia Fattorini, Lorenzo Lorenzetti, Cristiano Boarini, Noemi Manara, Camilla Bertagnin.

Durante la manifestazione si è svolta una lettura di poesie di Davide Rondoni tratta da ‘La natura del bastardo’ (Mondadori) accompagnato da Thomas Sinigaglia alla fisarmonica. Ha condotto la cerimonia Alfonso de Filippis.

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