Dono all’Archivio di Stato la mia memoria

Lagazzi, Parma le dedica un’intera giornata…

Sì, sono molto grato, e anche un po’ imbarazzato, per questa specie di festa che due tra le più importanti istituzioni culturali parmigiane, l’Archivio di Stato e l’Assessorato alla Cultura, hanno organizzato per me, per i miei settant’anni.

In cosa consisterà questa specie di festa?

Essenzialmente in due eventi. Al mattino avrà luogo presso l’Archivio di Stato una cerimonia per la donazione che farò all’Archivio di una parte del tanto materiale – manoscritti autografi, dattiloscritti, lettere, eccetera – riguardante alcuni degli scrittori che ho conosciuto, frequentato, letto e studiato nella mia vita; questa donazione sarà presentata dall’attuale direttore dell’Archivio, Graziano Tonelli, e dall’ex direttore Marzio Dall’Acqua (è grazie alla collaborazione di Attilio Bertolucci e mia con quest’ultimo che nel 1992 fu possibile realizzare presso l’Archivio di Stato un fondo dedicato allo stesso Bertolucci. Rispetto a quel fondo, ciò che donerò all’Archivio si porrà in una posizione naturale di dialogo.) Al pomeriggio ci sarà un incontro durante il quale due noti, finissimi critici e studiosi (l’assessore Michele Guerra e Stefano Lecchini) e due celebri poeti e scrittori (Gian Ruggero Manzoni e Davide Rondoni) parleranno della mia opera, dei miei libri di saggistica e narrativa, dei miei interessi, dei miei temi prediletti. A questi interventi seguirà una testimonianza sulla mia attività di insegnante: sarà un mio bravissimo ex allievo, Paolo Scita, a occuparsene. Non si tratterà certo di un convegno: di solito i convegni si dedicano a chi non c’è più… E’ vero che non sono più giovanissimo, ma mi sento ancora piuttosto vivo. Sarà invece un’occasione per ricordare ai parmigiani, attraverso qualche considerazione sul mio lavoro, che la loro, la nostra città non è solo una splendida meta per gli amanti della musica, dell’arte, della moda e del cibo, ma anche una “piccola capitale” della letteratura, un luogo in cui si è letto e scritto molto, in cui si sono tradotti e stampati tanti libri, in cui si sono incontrati autori provenienti da tutta l’Italia e dall’estero, in cui è esistita – e in parte continua a esistere – una società letteraria, una rete di relazioni, rapporti, incontri nutriti da uno spirito di apertura e di dialogo nonostante la proverbiale, direi mitica tendenza di alcuni parmigiani alla chiusura in piccoli gruppi, in circoli o salotti un po’ snob, cioè in forme di elitarismo o individualismo tipiche della provincia.

Come potrebbe cercare di riassumere in breve il senso del suo lungo lavoro letterario?

Credo che molti, a Parma, pensino che io mi sia occupato solo dell’opera di Attilio Bertolucci, ma non è così. È vero che l’ho studiato a fondo, che l’ho letto e riletto cercando di entrare il più possibile in sintonia col suo straordinario mondo poetico; è vero che ho scritto molto su di lui e che ho contribuito a diffondere la conoscenza della sua opera negli Stati Uniti e in Giappone (come ha ricordato in due tra i miei libri più recenti), ma mi sono occupato anche di tanti altri autori antichi e moderni, occidentali e orientali, da Apuleio a Leopardi, da D’Annunzio a Pascoli a Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, da Joseph Conrad a Silvio D’Arzo, da Bernard Malamud a Nikos Kazantzakis, da Massimo Bontempelli a Bruno Barilli, da Victor Segalen a Pietro Citati, da Fernanda Romagnoli a Maria Luisa Spaziani, da Agatha Christie a Giorgio Scerbanenco, da Basho a Kikuo Takano a Makiko Kasuga… Mi sono anche cimentato con la scrittura d’invenzione componendo delle fiabe, dei racconti, un’intervista immaginaria (all’uovo di Colombo!) e due romanzi (uno ancora inedito). Ma fondamentale resta per me l’approccio di Attilio al mistero e alla poesia della vita. Uno dei miei libri dedicati a Bertolucci s’intitola “Reverie e destino”; a tanti anni di distanza dalla sua pubblicazione mi sembra di potermi rispecchiare in quel titolo perché anche il mio destino è stato una sorta di reverie, anch’io ho attraversato la vita e la scrittura fantasticando, quasi senza rendermene conto, procedendo come a occhi semichiusi su sentieri di sabbia o di foglie. In altri termini: i miei libri crescevano e si accumulavano (ormai, tra i miei e quelli curati da me, sono più di una sessantina) ma era come se fosse qualcun altro a scriverli…

Dicendo questo non vorrei dare l’idea di una vita idilliaca, puramente segnata dalla leggerezza. Ho dovuto far fronte, come tutti, a molte difficoltà e anche errori, ma non ho mai perso la fede nella bellezza dei sogni, nella “verità” delle illusioni. A settant’anni suonati, nonostante i segnali d’allarme che ogni giorno il mio corpo mi lancia, continuo a credere che forse non morirò mai.

                                                                                                Davide Barilli

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